Inquinamento Elettromagnetico:
alcune rapide considerazioni
Maurizio Benfatto – Elisabetta Pace
Laboratori Nazionali di Frascati – Istituto Nazionale di Fisica Nucleare
via E.Fermi 40 – 00044 Frascati (Italy)
Tutti gli esseri viventi di questo pianeta sono stati esposti fin dall’inizio dei tempi ad un fondo naturale di campi elettrici e magnetici sia statici che variabili, anche di tipo impulsivo, come per esempio, quelli generati da un fulmine.
L’insieme di tutti i campi elettro-magnetici (EM) costituisce il fondo naturale, fondo che si manifesta in vari modi. La principale sorgente dei campi elettrici naturali rilevabili sulla superficie terrestre è di natura elettrostatica Tipicamente il valore del campo elettrostatico sulla superficie terrestre è dell’ordine di 130 V/m, valore che può arrivare a 30 kV/m durante un temporale. La parte magnetica è data principalmente dal campo magnetico terrestre in quanto il pianeta può essere paragonato ad un grosso magnete permanente, questa parte statica ha un’intensità media di circa 3-5 10-5 T, ed è questa componente che consente sia all’ago della bussola di muoversi che ad alcune specie animali di orientarsi durante gli spostamenti. Accanto a questa parte statica ne esiste anche una variabile dovuta principalmente all’attività del sole, della luna, ai temporali ed al fatto che il nucleo terrestre è mobile. L’intensità media di questa parte è di qualche nT (10-9 T) con frequenze che vanno da qualche frazione di Hz fino a qualche decina di MHz. La densità di potenza portata da questa parte dello spettro è molto bassa con valori dell’ordine di 10-4 W/m2. Abbiamo poi le emissioni EM provenienti dallo spazio, dall’attività solare e dalle altre stelle e/o pianeti. Queste hanno frequenze che vanno da pochi Hz fino a diverse centinaia di GHz con una densità di potenza molto bassa dell’ordine di 10-13 W/m2. È con questo tappeto EM che il vivente si è confrontato, si è evoluto, ha condiviso l’alternarsi del giorno e della notte, delle stagioni e delle varie ere geologiche.
L’uomo si comincia ad interessare ai fenomeni elettrici fin dall’antichità, probabilmente i primi studi risalgono a Talete (600 a.C.) con le osservazioni fatte sull’ambra strofinata che attrae piccoli pezzettini di carta. Bisogna però arrivare all’era moderna per trovare una serie di osservazioni sistematiche e di ampio respiro. B. Franklin, L. Galvani, A. Volta nel secolo XVIII posero le basi delle attuali conoscenze sui fenomeni elettromagnetici. Nel secolo successivo le attività riguardanti il “fenomeno elettrico” si intensificano in maniera esponenziale, M. Faraday, R. Hertz, T.A. Edison, N. Tesla, J.C. Maxwell A. Meucci sono solo alcuni dei molti ricercatori, inventori che trasformarono il “fenomeno elettrico” da poco più di una curiosità per dilettare il potente di turno ad una delle più grandi conquiste dell’umanità. Vengono costruite le prime centrali alla fine del secolo diciannovesimo, nel 1901 G. Marconi compie la prima trasmissione di segnali senza l’uso di fili attraverso l’oceano Atlantico, sono del 1922 le prime trasmissioni regolari. Lo sviluppo della teoria dei quanti avvenuto, nei primi anni del 1900, cambia completamente la nostra visione del mondo e quindi anche del “fenomeno elettrico” che da fenomeno prettamente ondulatorio diventa anche corpuscolare. Siamo nel XX secolo che può senza dubbio essere definito il secolo dell’elettricità e poi dell’elettronica con l’avvento dei computer, di internet e dei telefoni cellulari. Il radar è messo stabilmente in funzione in Inghilterra poco prima della Seconda guerra mondiale, sebbene le prime idee a riguardo siano da attribuire ad alcuni ufficiali italiani. Nel 1957 viene lanciato il primo satellite, lo Sputnik; ora ce ne sono circa 14000, sebbene molti non più in funzione. Nel 2017 sono stati messi in orbita circa 4000 satelliti, tra militari, civili, amatoriali e commerciali. Insomma, un incremento esponenziale dell’uso dei campi EM nelle attività umane.
All’inizio del 1980 si comincia ad usare il telefono mobile, con tecnologia totalmente analogica, il cosiddetto 1G, che usava una comunicazione simile a quella usata tradizionalmente dalla radio. Erano oggetti ingombranti e dal costo proibitivo. Dieci anni più tardi si comincia ad usare la tecnologia digitale e il “telefonino” comincia a diventare un fenomeno di massa. È il cosiddetto sistema di seconda generazione, il 2G, in grado di trasmettere sia la voce sia piccoli messaggi, gli SMS. Da questo momento in poi c’è stata una continua evoluzione dei sistemi di comunicazione e dei protocolli di comunicazione potendo così cominciare a trasmettere/ricevere foto, filmati digitali ed altro con contenuto sia audio che video. Con gli standard di terza e quarta generazione (3G e 4G) sono state possibili applicazioni multimediali avanzate e collegamenti dati con elevata banda passante, potendo così collegarsi ad internet, fare video-chiamate ed essere “connesso” in tempo reale. Questa evoluzione tecnologica ha trasformato rapidamente il telefonino rendendolo, di fatto, un computer veramente portatile. Adesso il numero di abbonamenti sottoscritti dai vari utenti in tutto il mondo è passato dai circa 6 miliardi del 2011 ai circa 10 miliardi del 2019. Più della popolazione umana! Il flusso di dati dovuto a queste connessioni è enorme, qualche migliaio di PetaBytes/mese, ossia dell’ordine di 1018 byte, dove il byte è una quantità d’informazione elementare. Per memorizzare una tale mole di dati si avrebbe la necessità di usare circa un milione di hardisk di un Terabyte, ossia gli hardisk che oggi sono comunemente commercializzati a poche centinaia di euro.
Tutto questo ha fatto in modo che la terra sia letteralmente circondata da segnali elettromagnetici con i quali comunichiamo da una parte all’altra del pianeta. Inoltre l’impiego dell’elettricità su larga scala in tutti i settori della vita quotidiana rappresenta un’altra fonte rilevante di campi EM con cui confrontarsi. Giusto per fare un esempio solo in Italia esistono circa 106 Km di elettrodotti utilizzati per trasportare l’energia elettrica in tutto il paese, una rete che è circa 25 volte la circonferenza della terra. Le nostre case sono piene di oggetti che usano energia elettrica, ossia oggetti dove esistono cariche circolanti, cariche che producono campi magnetici anche rilevanti. Per esempio, un asciugacapelli produce mediamente, a ridosso dell’apparecchio, un campo magnetico di 7 10-5 T, ossia circa 104 volte il fondo variabile naturale. Questo valore si riduce di un fattore dieci a circa 30 cm di distanza. Nonostante questi campi si riducano velocemente d’intensità man mano che ci si allontana dalla fonte d’emissione, bisogna notare che molto spesso siamo in presenza di campi con intensità simile, molte volte molto maggiore, di quella del fondo naturale, sia statico che variabile, con il quale ci siamo evoluti.
In Italia circa il 70% della popolazione ha uno smartphone, ossia ci sono circa 40 milioni di tali oggetti che hanno bisogno per connettersi di molte antenne. In Italia ne abbiamo molte decine di migliaia. Per esempio, la società INWIT (Infrastrutture Wireless Italiane), uno dei principali operatori europei del settore, avrà entro breve tempo circa 22.000 torri funzionanti che serviranno le esigenze di TIM e VODAFONE. La frequenza di trasmissione di tali sistemi è compresa tra i 900 MHz e i 2.6 GHz. Il protocollo 5G prevede uno spettro di emissioni più articolato che interessano le frequenze di 700 MHz (banda attualmente usata dalle televisioni), 3.6-3.8 GHz e 26 GHz.
La potenza di emissione dipende dall’area della regione, la cosiddetta cella, che serve e dal numero di telefonini collegati in un determinato momento. Tipicamente si va da qualche KW, per trasmettitori che servono regioni molto grandi, fino a circa 1 W per sistemi adatti a regioni molto limitate. Mediamente abbiamo potenze di circa 30-40 W. Bisogna anche considerare il guadagno che l’antenna presenta al momento della trasmissione che di fatto moltiplica la potenza equivalente irraggiata, moltiplicazione che può arrivare anche ad un fattore 100 per antenne molto direzionali. Diversi protocolli di trasmissione operano in divisione di tempo, ossia ogni telefono utilizza la frequenza per una frazione del tempo, trasmettendo e ricevendo il segnale compresso digitalmente durante brevi impulsi, con frequenza di ripetizione di qualche centinaio di impulsi al secondo. Questo comporta che la potenza massima irraggiata durante il singolo impulso sia di solito molto superiore rispetto a quella media. La potenza media emessa è quella che viene misurata normalmente dalle agenzie per la protezione per l’ambiente, come per esempio ARPA o APPA a seconda della regione. Nella figura 4 è riportata la copertura per le reti 2G, 3G e 4G in Italia, disponibile sul sito www.agcom.it.
Fig.4 Copertura reti mobili in Italia.
Come si vede la penisola è praticamente tutta coperta da segnali elettromagnetici, con una densità leggermente inferiore nelle zone montuose.
Se poi a tutto questo sommiamo i contributi delle stazioni televisive, stazioni radiofoniche, gli apparati radar e militari in genere, troviamo valori di campo EM di molti ordini di grandezza maggiore del fondo naturale originario. Per esempio nel 1940 il livello di fondo pulsato in Italia era di circa 0.0002 V/m, ora si riscontrano valori tipici di qualche V/m, ossia è aumentato di 4 ordini di grandezza in pochi decenni, aumento questo che non accenna a diminuire, anzi sembra quasi accelerare. Di fatto si è completamente stravolto la composizione e l’intensità del fondo EM, che chiaramente non possiamo più definire naturale ed a cui siamo costantemente esposti.
Nel Lazio l’agenzia ARPA, che ha il compito di monitorare le emissioni EM generate dagli impianti esistenti e di valutare in maniera preventiva le emissioni che saranno prodotte dai nuovi impianti, ha pubblicato nel 2009 un rapporto dove fornisce i dati di una serie di rilevazioni fatte nel periodo 2002-2005 nella intera regione. Da notare che la materia delle normative riguardanti il funzionamento e l’installazione di sistemi elettro-magnetici è di competenza regionale, che delibera in materia. Nel rapporto vengono presentati i dati ottenuti in 309 siti, principalmente nella provincia di Roma, con tipologie di sito che vanno dalle abitazioni private (circa il 60%) a luoghi ed edifici pubblici. La rete di monitoraggio è stata fatta mediante centraline di misura mobili, dotate di uno o più sensori isotropici a larga banda (da 100 KHz a 3 GHz) che registrano in continuo il valore efficace di campo elettrico mediato su un intervallo di 6 minuti, come previsto dalla normativa vigente. Per il periodo in esame sono stati fatte misure per un totale di quasi 5000 giorni ed ogni singolo sito è stato sotto esame per periodi di tempo che vanno da qualche giorno a qualche settimana. Per le frequenze relative a ripetitori di telefonia mobile si sono misurate intensità di campo inferiori a 3V/m per il 79% dei casi. Il limite di legge per questo tipo di apparecchi fissa un valore di attenzione a 6 V/m, mediati su 24 ore, che corrispondono a circa 0.1 W/m2 di densità di potenza. Da considerare che il fatto di mediare su 24 ore e quindi considerare anche periodi di bassa emissione (per esempio la notte) implica che i valori di picco possono essere molto più grandi dei limiti di legge. In ogni caso tutti questi valori sono tutti ben più alti del vero fondo naturale.
Siamo in procinto di entrare nell’era del 5G. Tutto diventerà “smart”, autostrade, case, macchine, città. Tutto più “intelligente”. Forse in questa esplosione d’intelligenza chi ci rimetterà sarà proprio l’uomo e più in generale tutto il vivente di questo pianeta. In pratica tutto quello che si possiederà, si comprerà avrà antenne e microchip per connettersi in tempo reale in modalità wireless ad Internet. Ogni persona sulla Terra avrà accesso immediato alle comunicazioni wireless ad altissima velocità e a bassa latenza da qualsiasi punto del pianeta, anche nelle foreste pluviali, nel mezzo dell’oceano e nell’Antartico. Il 5G permette di collegare fino ad un milione di oggetti per km2 ossia un telefonino equivalente per m2. È impossibile prevedere quale sarà la densità pianificata per i trasmettitori di radiofrequenza. Resta però il fatto che molti operatori di telefonia mobile spingono per alzare gli attuali limiti di legge a 61 V/m. Oltre a milioni di nuove stazioni base 5G sulla Terra e 20.000 nuovi satelliti nello spazio, 200 miliardi di oggetti trasmittenti, secondo le stime, faranno parte dell’“Internet delle cose” entro il 2020, e mille volte tanto solo pochi anni dopo. La rete 5G si sommerà all’esistente, generando un incremento esponenziale e inevitabile dell’esposizione della popolazione alle onde elettromagnetiche. Se questo si realizzerà nelle modalità adesso pensate nessuna persona, nessun animale, nessun uccello, nessun insetto e nessuna pianta sulla Terra sarà in grado di evitare l’esposizione, 24 ore al giorno, 365 giorni l’anno, a livelli di radiazione a RF che sono decine o centinaia di volte più grandi di quelli esistenti oggi, senza alcuna possibilità di fuga in nessun luogo sul pianeta. Al fine di trasmettere l’enorme quantità di dati richiesti, la tecnologia 5G, quando completamente implementata, utilizzerà onde a 26 GHz che vengono trasmesse con difficoltà attraverso il materiale solido. Ciò richiederà ad ogni gestore di installare stazioni base in pratica ogni 100 metri in ogni area urbana del mondo. A differenza delle precedenti generazioni di tecnologia wireless, in cui una singola antenna si diffonde su una vasta area, le stazioni base 5G ed i dispositivi 5G avranno più antenne che lavoreranno insieme per emettere fasci focalizzati, orientabili e simili a emissioni laser che si rintracciano a vicenda. Insomma, una densità di radiazione elettromagnetiche senza precedenti.
Alla fine del 2018 è partita in Italia, in particolare a Milano, Prato, Matera, Bari ed in altri piccoli comuni, una sperimentazione, inconsapevole per la quasi totalità della popolazione, di emissioni elettromagnetiche con tecnologia 5G. Nel 2019 si è arrivati a 120 comuni ripartiti in tutta Italia. Entro l’anno 2022 si vuole avere una copertura dell’ottanta per cento della popolazione presente.
Ma quale è l’impatto di tutto questo sull’uomo e più in generale su tutto il vivente? La questione è molto complessa ed anche controversa. Inoltre una trattazione estesa richiederebbe lo scrivere molte decine di pagine ed in ogni caso non sarebbe esaustiva in quanto molto è ancora da definire e sperimentare. Ciononostante oramai esiste una vasta letteratura scientifica sull’argomento che indica una forte interazione tra campi EM e il vivente, interazione che molto spesso genera effetti patologici, anche gravi.
I dati sperimentali oggi a disposizione non forniscono alcuna base per suggerire l’esistenza di effetti negativi per la salute dell’uomo legati all’esposizione a campi elettrici statici. Gli studi su animali da laboratorio non hanno evidenziato effetti genetici, né effetti sui sistemi endocrino e cardiovascolare né sulla crescita tumorale. Oltretutto tale campo è facilmente schermabile da parte di materiali quali legno, edifici, metalli ed in generale c’è sempre una grossa differenza in intensità tra interno ed esterno di un edificio. Di contro i campi magnetici di una certa intensità, come quelli usati per esempio negli esami diagnostici, producono effetti ben documentati essenzialmente legati a sensazioni di disturbo occasionali e probabilmente temporanei. In ogni caso la loro presenza giustifica un proseguimento degli studi ed una vigilanza sanitaria. Da considerare anche che il campo magnetico è difficilmente schermabile.
Ben diverso è il discorso legato ai campi elettromagnetici dipendenti dal tempo. Lo spettro elettromagnetico può essere diviso in due macroregioni a seconda che l’energia trasportata dalle onde elettromagnetiche sia o meno sufficiente a ionizzare gli atomi, cioè a far perdere uno o più elettroni a qualche specie atomica presente nel materiale. La parte ionizzante va praticamente dal primo ultravioletto nella regione del visibile ed arriva fino ai raggi gamma, ossia frequenze molto alte superiori al milione di GHz. Le radiazioni non ionizzanti, dette radiazioni NIR, comprendono le frequenze fino alla luce visibile. Quando si parla di inquinamento elettromagnetico, ci si riferisce alle radiazioni elettromagnetiche non ionizzanti con frequenza inferiore a quella della luce infrarossa. Noi ci riferiremo a questa parte dello spettro elettromagnetico.
Queste radiazioni generalmente non possono rompere direttamente i legami chimici delle molecole, anche in presenza di elevate intensità di campo, in quanto i fotoni associati al campo EM hanno energie molto minori dell’elettronvolt (eV), 1eV corrisponde a 1.6 10-19 Joule, dove il Joule è l’energia per sollevare una mela di un metro nel campo gravitazionale terrestre, che è la scala tipica delle energie di legame di molti legami atomici e molecolari. Solamente all’estremo dello spettro, frequenze dell’ordine di 300 GHz, abbiamo fotoni con energie dell’ordine di 10-2 eV, valore di energia comparabile con le energie dei legami di Van Der Waals che è un’interazione che si manifesta tra atomi di una stessa molecola o di molecole diverse senza che vi sia formazione di legame chimico. L’origine di tale tipo di legame va ricercata nelle fluttuazioni nella distribuzione di carica delle molecole. Si tratta di forze sia attrattive che repulsive ed hanno un carattere spiccatamente anisotropo e quindi dipendono fortemente dall’orientamento reciproco delle molecole. Nonostante la loro piccolezza questi tipi di legame sono molto importanti in natura, specialmente in biologia, in quanto regolano la formazione della struttura tridimensionale delle proteine e quindi della loro funzione fisiologica. Le frequenze dell’ordine del GHz sono in grado di eccitare i livelli rotazionali di molte molecole, per esempio l’acqua ha dei livelli rotazionali con differenze di energie intorno a 2.45 GHz che è la normale frequenza dei forni a micro-onde, mentre una molecola di O2 ha livelli con differenze di energie di circa 60 GHz.
Da considerare anche che il DNA è circondato da molecole d’acqua perfettamente orientate in quanto le 4 basi che formano la catena sono dei veri e propri dipoli elettrici. La doppia elica si muove sia con movimenti rapidi sia con movimenti lenti emettendo e ricevendo onde elettromagnetiche, onde che sono parte del meccanismo alla base dell’attività genica. Sono alcuni spunti, ma c’è molto, molto di più da scrivere e da scoprire.
Quando un organismo biologico si trova immerso in un campo elettromagnetico, ha inevitabilmente luogo una interazione tra il campo e le cariche e le correnti elettriche presenti nei tessuti dell’organismo. Come conseguenza dell’interazione, all’interno dell’organismo vengono indotte grandezze fisiche, per esempio i campi magnetici B ed elettrici E, legate alla intensità e frequenza dei campi, alle caratteristiche dell’organismo ed alle modalità di esposizione. Questi campi si distribuiscono sulla superficie di discontinuità e all’interno dell’organismo biologico secondo vincoli ben precisi imposti dalle leggi di Maxwell. Tipicamente il campo elettrico E presenta delle discontinuità per la diversa costante dielettrica del materiale biologico rispetto al vuoto, mentre il campo magnetico B non conosce praticamente nessun tipo di discontinuità, ossia il materiale biologico è praticamente trasparente al campo magnetico.
In generale possiamo dire che l’interazione tra campo EM e organismo biologico produce principalmente due effetti. Prima di tutto una alterazione delle distribuzioni del campo EM interno all’organismo e conseguente alterazione dei fenomeni di polarizzazione interni. Questo può creare molti tipi di effetti, per esempio un’alterazione della struttura spaziale dei legami di Van Der Waals, un cambiamento dei potenziali bio-elettrici presenti nelle zone di membrana influenzando così la mobilità ionica, un cambiamento delle emissioni elettromagnetiche del DNA. Poi può indurre correnti elettriche artificiali, e quindi eventuali dissipazioni per effetto Joule e conseguente riscaldamento.
In generale, la perturbazione indotta modifica le condizioni di equilibrio e questo può portare a dei danni quando si supera la capacità di compensazione dell’organismo vivente, danni che possono quindi comparire anche dopo molti anni di esposizione specialmente quanto questa è praticamente continuata come quella a cui siamo praticamente tutti sottoposti.
Gli effetti biologici possono essere suddivisi in effetti termici ed effetti non termici. I primi sono dovuti alla trasformazione di energia elettromagnetica in calore; la quantità di calore prodotta è dipendente dalle caratteristiche dielettriche del materiale biologico, dalla frequenza, dalla direzione, polarizzazione e intensità del campo, dalla durata dell’esposizione. Acqua, grassi, carboidrati e proteine assorbono l’energia delle microonde in un processo chiamato riscaldamento dielettrico, ossia fondamentalmente si trasferisce energia eccitando i livelli rotazionali delle molecole in gioco. Le molecole eccitate trasferiscono il moto al resto della sostanza attraverso urti, ottenendone così il riscaldamento. Le microonde sono assorbite con più efficienza dalle molecole di acqua allo stato liquido. L’incremento di temperatura è in grado di provocare danni, che possono anche risultare irreversibili, a organi e apparati. In questo contesto, i meccanismi di termoregolazione (macro- e microcircolazione) assumono un ruolo fondamentale nella difesa biologica degli organismi esposti.
Gli effetti non termici sono rappresentati da alterazioni biologiche in assenza di incremento apprezzabile di temperatura e consistono in una interferenza delle correnti e delle cariche indotte con i meccanismi fisiologici coinvolgendo in particolare il sistema nervoso, l’apparato cardiovascolare e il sistema endocrino. Un parametro molto considerato è la profondità di penetrazione zp, ossia il valore per il quale l’ampiezza del campo si è ridotto di un fattore 1/2.7 ossia è diventato il 37% del valore di campo incidente. Tale parametro può avere una dipendenza complicata con la frequenza dei campi elettromagnetici, anche se generalmente diminuisce con l’aumentare della frequenza, ossia campi di frequenza elevata penetrano meno di quelli con frequenza bassa. Per esempio, l’acqua ha uno zp di circa 10 cm alla frequenza dei forni a microonde, che diventa di pochi centesimi di cm a frequenze più alte per poi crescere a diversi Km nella regione del visibile, quindi a frequenze molto più alte. Inoltre, bisogna tener presente che un organismo reale è costituito da strati di tessuto differente e questo rende tutto molto complicato da descrivere, tra le altre cose si può avere propagazione EM nella zona di interfaccia tra un tessuto ed un altro con la creazione di vere e proprie guide d’onda che sono in grado di trasportare il campo EM anche molto lontano dalla zona di incidenza esterna. Inoltre l’impedenza Z associata a questo tipo di “dielettrico” diventa una funzione complicata della frequenza in quanto esiste anche una parte conduttiva. Quindi anche limitandosi a questo modello diciamo “dielettrico” del sistema vivente, modello che è molto meno che minimale, le cose non sono facilmente descrivibili con regole semplici.
Gli effetti possono anche essere suddivisi in effetti acuti ed effetti a lungo termine. I primi sono di tipo immediato e oggettivo, accertabili quasi sempre sperimentalmente, tipicamente su animali da laboratorio o su volontari. Essi sono generalmente associati a valori di campo EM abbastanza elevato. Gli effetti a lungo termine sono invece associati generalmente a valori di campo più deboli e comprendono sia sintomi più o meno soggettivi, quali, ad esempio, affaticamento, irritabilità, difficoltà di concentrazione, insonnia, sia sintomi oggettivi ed in genere gravissimi quali tumori o malattie degenerative. Per questo tipo di effetti è chiaramente difficile accertare il rapporto causa effetto, i risultati delle indagini di laboratorio o di tipo epidemiologico sono delle volte contraddittori e/o chiaramente incompleti. Ciò è dovuto a diversi fattori, ricordiamone qualcuno: È difficile valutare con sufficiente affidabilità i livelli di campo EM all’interno degli organismi quando questi sono esposti a un determinato campo esterno. I legami sono complessi e la non uniformità dei tessuti, congiunta alle loro forme irregolari, porta a distribuzioni disuniformi dei campi interni e della potenza dissipata localmente. Inoltre, è molto difficile stabilire i meccanismi di interazione di tipo biofisico e biochimico. Tali difficoltà sono dovute sia alla complessità della materia vivente a livello molecolare, cellulare e di organo, sia alla complessità delle interazioni tra i diversi organi in un individuo, insomma siamo qualcosa di più che un semplice pezzo di plastica!
Da considerare anche la difficoltà di estrapolare agli esseri umani i risultati degli studi sugli effetti dell’esposizione che sono condotti in generale su animali da laboratorio. Abbiamo anche sintomi soggettivi, difficilmente quantificabili e ripetibili. Gli esseri umani sono poi esposti anche ad altri fattori ambientali, inclusi quelli alimentari o terapeutici, che possono influire sul loro stato. Per finire il numero dei casi considerati, necessariamente limitato per l’occasionalità dell’esposizione, è spesso insufficiente a definire la statistica delle osservazioni, sebbene ora la statistica sia purtroppo in continuo aumento. Stress ossidativo, disturbi del sistema circolatorio, del ritmo circadiano, della regolazione ormonale e di altre funzioni simili, danni della struttura del DNA sono alcuni degli effetti riportati in letteratura. Insonnia, emicrania, disturbi cardiaci uniti a disturbi neuro-psichiatrici con cambio dei tracciati EEG, irritabilità, modificazioni comportamentali, depressione, alterazioni ormonali sono alcuni dei disturbi evidenziati dagli studi epidemiologici magari seguiti poi da patologie più rilevanti.
In generale si può affermare che si cominciano ad avere concrete evidenze scientifiche sulla pericolosità degli effetti non termici di lungo periodo sia per esposizioni a bassa che ad alta frequenza. Sebbene ci sia ancora molto lavoro da fare per esplicitare sia gli aspetti teorici che sperimentali, un sano principio di precauzione deve essere messo in atto per evitare di ritrovarsi in pochi anni con una tecnologia potenzialmente distruttiva e difficilmente reversibile.
Piccola bibliografia – molto di più si può trovare negli articoli citati.
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