Pubbliche virtù e vizi privati.
Vi proponiamo il viaggio che Giovanna Flamini ci ha donato su “Frammenti di Esculapio” 123/130 (Prometeo, anno 35, n. 137), riproponendo il lavoro pubblicato su “Nature” di Max Krummel.
Il processo metastatico è un’avventura con cui il tumore cerca di stabilirsi come alternativa dominante nell’organismo. Un alter ego senza un perché.
7000 globuli bianchi per millimetro cubo di cellule “dell’immunità innata” prescindendo dal riconoscimento antigenico, sono funzionalmente orientati verso la fagocitosi. Granulociti neutrofili, macrofagi, prendono atto della presenza di cellule insolite e non ematiche, intere o a pezzi, per fagocitarle. Ma inaspettatamente dal momento in cui le cellule tumorali vengono danneggiate e muoiono, le cellule immunitarie si trasformano in loro complici e preparano un terreno favorevole per gli elementi tumorali che sopraggiungeranno. I fagociti che inglobano le cellule tumorali morenti (“cavalieri senza testa”, Krummel), “infettati” dal materiale tumorale, cambiano fenotipo e comportamento. Abbandonano la sede ematica creando delle teste di ponte verso l’interstizio (polmonare), facilitando l’accesso al tessuto da colonizzare alle cellule tumorali che, trasportate dalla corrente sanguigna, arriveranno in condizioni adeguate per generare un focolaio metastatico. “Zombi tumorali” tanto potenti da riuscire a modificare la reattività immunitaria. Sul meccanismo si ipotizzano gli “esosomi”, particelle rilasciate dalle cellule tumorali di piccoli segmenti di acidi nucleici (i microRNA) capaci di trasferire informazioni che, per i fagociti “infettati” dai “cavalieri senza testa”, potrebbero rappresentare il presupposto per creare l’ambiente favorevole all’installazione di un nido neoplastico in sede secondaria.
Non tutte le cellule maligne che percorrono le vie ematiche viaggiano da sole. Alcuni gruppi di ricercatori, tra cui una compagine italiana facente capo all’IFOM (Istituto FIRC di Oncologia Molecolare, Fondazione Italiana per la Ricerca sul Cancro) e all’Università di Milano hanno verificato come, rispetto agli escursionisti “in solitaria”, in forma di aggregato la metastasi guadagna un potere di invasione e attecchimento superiore rispetto al singolo elemento. La formazione (in media 23 elementi) usufruisce di un leader, un sistema di rotazione “a turni” dei suoi costituenti che di volta in volta (circa ogni 15 minuti) assumono il ruolo di leader per permettere al comandante appena “smontato” di recuperare le energie spese nel mantenere un assetto “polarizzato”.
Il nostro apparato immune, con il suo sterminato repertorio cellulare a diverse gerarchie e specializzazioni, dai coordinatori/regolatori fino agli esecutori “killer”, nonché con le sue molecole effettrici, gli anticorpi, può fare fronte a qualsiasi tipo di novità molecolare possibile e immaginabile e, proprio grazie a tali capacità, l’immunoterapia costituisce uno dei più vasti, fertili e ramificati capitoli nel contesto delle scienze oncologiche. Tra le moltissime opzioni citiamo l’esistenza di un ricco archivio di anticorpi “monoclonali” ingegnerizzati a fini terapeutici e abili alla selettiva eliminazione delle cellule tumorali.
Una morte (quasi) certa, per opera delle cellule immuni che popolano il linfonodo, attende gli elementi metastatici che imboccano tale via, destinati in grandissimo numero a non raggiungere mai le sedi tissutali secondarie. Ciononostante, nei linfonodi, qualche cellula tumorale riesce a persistere, a moltiplicarsi e perfino a procedere nel suo percorso. Anche se l’immunità è un meccanismo dove vige la logica della specificità molecolare, il tumore maligno sembra averlo “capito”. Pone in atto la citata mutabilità clonale in assenza di regolamentazione, la promozione di cloni non-antigenici, il “mascheramento” di eventuali neoantigeni potenzialmente visibili ai ricognitori immuni con molecole biologicamente “innocenti”, la produzione di citochine che sopprimono l’attivazione linfocitaria e l’inibizione attiva dell’attacco immune mediante l’espressione di particolari recettori che, legandosi agli eventuali difensori, inducono in questi uno stato di “tolleranza”. Non solo, il sistema immune stesso, oltre a poter essere reso indifferente alla presenza delle cellule tumorali, può intervenire in loro aiuto. Fenomeno osservato, “visivamente” da ricercatori della University of California, San Francisco, guidato dal patologo Max Krummel e, segnalato alla rivista “Nature”. Utilizzando un modello di “imaging” ad alta risoluzione in grado di mostrare eventi cellulare in vivo a notevoli profondità tissutali, hanno monitorato per 24 ore, partendo dal momento dell’inoculazione di cellule di melanoma nel circolo ematico di topi da esperimento, il destino di queste, seguendone il percorso fino ai polmoni, il cui parenchima finemente vascolarizzato rende tali organi notoriamente tra sedi più “frequentate” dalle metastasi. Il professor Krummel ci consente il racconto dell’avventuroso viaggio metastatico. Cellule tumorali che, avvalendosi dei dispositivi sopra enumerati, sopravvissute alle barriere immunitarie, riescono a uscire nel flusso sanguigno.
M.B. Headley et al. Visualization of immediate immune responses to pionner metastatic cells in the lung, “Nature”, 531, 2016, pp.513-517